Tratto da Castellazzonotizie – marzo 2013, pag.16
Nell’abside di Santa Maria della Corte, chiesa parrocchiale a
Castellazzo Bormida, è murato un grande altorilievo in marmo raffigurante un
leone di San Marco, classico emblema della Serenissima Repubblica di Venezia che
orna mura e palazzi del territorio un tempo soggetto al suo plurisecolare dominio.
Venezia però fino alle pianure piemontesi non si è mai spinta.
I DOCUMENTI STORICI – Il leone è documentato nella chiesa castellazzese
dal XVIII secolo (cfr. Castellazzonotizie dicembre 2009, pag.10): Girolamo
Buzzi cita padre Lucio Marmanzana, da cui si deve dedurre che il leone è già
nel coro di Santa Maria alle fine del Settecento (Marmanzana muore nell’anno
1800). Dagli storici del passato abbiamo solo supposizioni sul leone veneziano; senza
documenti le storie che si sono tramandate vanno considerate infondate e non
credibili.
In queste, il leone diventa ringraziamento per un ingente
quantitativo di grano venduto alla Serenissima, o grazioso dono per la calda
ospitalità offerta all’esercito veneziano, oppure ancora si erge su una colonna
in mezzo alla piazza della chiesa, nonostante il suo evidente aspetto di scultura
murale. L’unico evento che colleghi storicamente Castellazzo a Venezia è il
passaggio nel 1497 di truppe della repubblica, inviate in paese contro la
calata dell’esercito francese da Ludovico il Moro, che l’anno dopo promuoverà
la costruzione delle mura castellazzesi corrispondenti agli attuali spalti. Gli
storici che si sono occupati del leone a questi anni faranno riferimento.
Girolamo Buzzi: “Inalzossi
nella facciata di essa Chiesa una gran lapide con entro scolpita una statua di
un Leone di marmo, che di lì a cinque, o sei anni fu per più sicurezza
trasferita nel Coro, dove tuttora si trova per eterna memoria. La occasione di
metterla nel frontispizio del Coro, fu, come si narra, perchè si temeva che li
Veneziani, i quali guerreggiavano contro la Chiesa Cattolica, con cui eravam
collegati, se la venissero o a ripigliare, o a rompere per vendetta. (…) Ma
invece il P. Lucio [Marmanzana] dice che il detto Leone fu trasportato nel Coro
non per timore di rapimento o vendetta, ma per fare cosa grata a Francesco Re
di Francia calato in Italia nel 1497 con esercito poderoso in ajuto del Papa,
essendo egli [Francesco] nel Castellazzo.” Allora: a crederci, il leone
avrebbe dovuto essere collocato sulla facciata della chiesa, ma poi per qualche
motivo sarebbe stato portato all’interno, per Marmanzana prima del 1497. Buzzi
poi riporta le tesi dell’avvocato alessandrino Degiorgis – suo contemporaneo –
che cònfuta quanto sostenuto da Marmanzana e fa l’ipotesi meno credibile, che
Buzzi annota scrupolosamente: il leone sarebbe “un dono dei Veneti, dato nel 1497 a’ Castellazzesi per la buona
accoglienza fatta, quando i suddetti [Veneti] vennero per liberarli [i
Castellazzesi] dall’assedio dei Francesi”. Un simbolo di dominio lasciato
come mancia, insomma.
Nel 1907 anche Giuseppe Pochettino, pur precisando che “è una semplice opinione non essendovi
documento che ne parli in proposito”, ipotizza che il leone giunga nel 1497
a Castellazzo al seguito delle truppe veneziane, senza però sbilanciarsi sul
motivo che ne giustifichi l’acquisizione.
Infine nel 1924 Francesco Gasparolo aggiunge: “Ma potrebbe anche riferirsi a qualche
personaggio che [lo] avesse regalato in memoria della relazione sua personale
colla repubblica veneta, come avvenne quando Francesco Sforza, già generalissimo
dei veneti (…) fece una non breve dimora in Castellazzo.”
Non ci sono documenti, ognuno può dire quasi ciò che vuole.
Gasparolo aggiunge notizie estremamente interessanti sulla
posizione della scultura: si lamenta che se ne veda solo la parte superiore, al
punto che non si riesce neppure ad esprimere un giudizio artistico; il leone è
nel coro “dietro lo stallo prevostale”
e, prosegue,: “questa strana collocazione
è sperabile che cessi presto, secondo i voti della Soprintendenza dei Monumenti
del Piemonte, la quale desidererebbe che venisse collocato ben in vista del
pubblico o in qualche altro luogo della chiesa stessa, o meglio sulla facciata
esterna della casa parrocchiale, a fianco della facciata della chiesa”. E
pubblica una fondamentale fotografia, di scarsa qualità ma leggibile. Questa
fotografia ci sarà molto utile tra poche righe.
LO SPOSTAMENTO DEL 1938
Una lettera del febbraio 1938 mostra che la soprintendenza ha
cambiato idea rispetto al 1924 (secondo quanto riportava Gasparolo); sul leone
non è più “del parere di metterlo
all’esterno sulla facciata della casa parrocchiale”: andrà invece collocato
in una nicchia a destra dell’altare, “alla
stessa altezza di prima”. Con carrucole e binari il leone viene così movimentato:
di quel trasporto rimangono quattro fotografie e le testimonianze orali di
Franco Poggio, presente all'evento. La laboriosa operazione, promossa dal
parroco don Arlandini ed effettuata dall’impresa Quattordio, avvenne nel giro
di pochi giorni demolendo il muro alle spalle del leone e predisponendo un
percorso su rotaie attraverso il cortile posteriore, via Scavia e piazza Santa
Maria.
La decisione di spostare il leone nacque, probabilmente, dalla
volontà di collocare diversamente la statua in marmo dell’Assunta, oggi sul
muro di fondo dell’abside e che - racconta Franco Poggio - prima del 1938 era
posizionata sull’altare, identica collocazione che aveva nel secolo precedente
nella chiesa dei SS. Carlo e Anna, dalla quale proveniva. La volontà di
installare l’Assunta sul muro alle spalle dell’altare e, soprattutto, la
necessità di creare un supporto murario adeguato, obbligarono a spostare il
leone marciano, murato e seminascosto dallo scranno principale. Al fine di non
dover smontare oltre metà del coro ligneo, rischiandone il danneggiamento, si
preferì la soluzione tradizionale ad opera di muratori: demolizione,
spostamento e ricostruzione. Sugli intonaci dei muri interessati le tracce
degli interventi (sia la chiusura della vecchia nicchia che l’inserimento di
un’architrave sopra la nicchia attuale) sono ancora testimonianza diretta e
conferma di quell’intervento.
IL CORO LIGNEO – La fotografia pubblicata da Gasparolo nel 1924 e
il racconto di Franco Poggio ci portano molto più indietro dei documenti
storici che, come detto, ci danno la sola certezza di un leone già esistente in
Santa Maria alla fine del Settecento. Infatti, se la scultura ha dovuto essere traslata
demolendone la muratura posteriore, per non smontare e danneggiare il prezioso coro
ligneo, e se il leone era seminascosto dagli scranni, evidentemente,
necessariamente l’arredo sacro è stato costruito dopo l’installazione della
scultura marciana nell’abside. Il coro ligneo, precisa Gelsomina Spione nel suo
saggio sui beni mobili religiosi castellazzesi, fu fatto costruire da Carlo
Pallavicini nel 1664. Deve ritenersi quindi che il leone sia già in Santa Maria
prima di questa data, e forse significativamente prima. Se committenza ed esecutori
dell’arredo sacro (e parroco) non si fecero scrupoli ad occultare gran parte della
scultura, è probabile che l’influenza del donatore del leone marciano fosse
ormai superata dagli anni o dagli eventi. I Pallavicini sono feudatari dal
1650; prima di loro, dal 1531, c’erano i d’Avalos. A cominciare da Alfonso III,
che ricevette il feudo da Francesco Sforza II, e dal figlio Francesco
Ferdinando: entrambi governatori del ducato di Milano, fieri avversari dei
Francesi e spesso in battaglia in Piemonte e ad Asti.
L’IPOTESI LOMBARDA – Alla fine degli anni Ottanta un
appassionato di storia astigiana, Gianluigi Bera, viene a conoscenza dell’esistenza
del leone castellazzese: lo esamina di persona e lo collega mentalmente ad un
leone “astigiano” che, secondo la citazione di un poemetto redatto dal poeta
cinquecentesco Giovan Giorgio Allione, il re francese Luigi XII ha strappato a
Cremona nel 1509 dopo la battaglia di Agnadello e portato in dono ai Malabaila
di Asti, leone poi scomparso dalla città e (quasi) dimenticato. Passano gli
anni e Bera, per lavoro, càpita nella piazza del duomo di Crema, cittadina non
distante da Cremona ed avamposto lombardo della Repubblica Serenissima per tre
secoli e mezzo. Nella piazza del duomo di Crema, sotto a un leone in pietra
piuttosto danneggiato, una lapide in latino recita: “Condotto dai Galli ad Asti, dimenticato giacqui, ora restituito in
patria insigne rimango - doge Cost. Priuli 1558”. Bera subito associa il
leone castellazzese, dalle fattezze quattrocentesche, al trofeo di guerra che
Luigi XII si è preso nel 1509, individuando nella scultura oggi in piazza a
Crema un leone sostitutivo (appunto: tardocinquecentesco) e non certo quello
che è finito in dono ad Asti.
La tesi, per quanto priva di documenti storici a supporto, sembra
reggere nonostante l’esplicita citazione di Cremona attribuita all’Allione: a Cremona
passa il Po, che potrebbe essere stato risalito fino alla confluenza del Tanaro
- che bagna Asti - per il trasporto di un manufatto del peso di due tonnellate,
assai difficilmente carrabile allora. Il poeta quindi poteva non essersi sbagliato:
in un certo senso il leone proveniva davvero da Cremona, senza essere “di”
Cremona. Il tramite tra Asti e Castellazzo potrebbe essere individuato in un
ramo della famiglia Pellati, documentata in Asti nei secoli XVII-XVIII, e
titolare di una cappella privata interna alla chiesa di Santa Maria di
Castellazzo, oltre che proprietaria della casa patrizia antistante la chiesa. L’ottimo
stato di conservazione, visto lo stato di degrado in cui versano per motivi
storici o ambientali i leoni marciani murati nelle città sottoposte a Venezia,
non contrasta affatto con la tesi di Bera: pochi decenni di esposizione
all’aperto e secoli di conservazione protetta, senza i danni causati dal vento,
dalla pioggia, dai soldati napoleonici, dall’inquinamento atmosferico dell’era moderna.
Nel 2003, in previsione del completamento del suo volume “Asti:
edifici e palazzi nel medioevo”, Bera invia un collaboratore a scattare
fotografie al leone di Santa Maria. Il fotografo incontra in modo fortuito Cristoforo
Moretti, che ha avuto modo in passato di esplorare gli archivi e le
pubblicazioni storiche di Castellazzo, e si stabilisce un primo contatto tra i
due studiosi. Le conoscenze si ricompongono e diventano pubbliche nel quinto
convegno storico “Ricostruzioni”, tenuto nella chiesa di Santa Maria della
Corte nel dicembre 2009, quando Bera e Moretti illustrano certezze e incertezze
sul leone marciano castellazzese.
LA CATALOGAZIONE DEL LEONE – Nel 2001 Alberto Rizzi, eminente
accademico veneziano, ha pubblicato la corposa monografia in due volumi “I
leoni di San Marco”, catalogando moltissimi esemplari diffusi nei territori
dominati da Venezia; il nostro leone non è compreso nella raccolta e Rizzi, già
invitato dal Comune a partecipare al convegno storico del 2009 ed
impossibilitato all’ultimo momento, ristabilisce un contatto nel 2012 per
includere la scultura castellazzese nel suo aggiornamento, il terzo tomo
dell’opera, previsto per la fine dell’anno. Invitato a presentare il volume (ed
a visionare direttamente il leone) il 15 dicembre, purtroppo Rizzi non riesce a
presenziare ma invia ugualmente il testo, freschissimo di stampa.
Nell’ottavo convegno storico “Ricostruzioni” – tenuto il 15
dicembre 2012 nella sala consigliare del Comune – finalmente si riesce a
valutare il contributo del massimo esperto italiano (e quindi del mondo) in
leoni marciani, e la grande importanza data dall’autore al leone di Santa
Maria, che “costituisce
uno dei maggiori apporti del presente Supplemento
oltre che per
il suo elevato valore artistico ancor più per la sua perfetta conservazione
dovuta anche al fatto di non essere stato mai (o quasi) esposto alle intemperie”.
La scheda di catalogo riservata a Castellazzo è la più ampia del volume, e non
può non saltare all’occhio la differenza tra lo stato di conservazione dei
reperti riprodotti nell’opera e il nostro leone, definito “arcilombardo per fattura e probabilmente anche per materiale
(Botticino)”.
Rizzi ritiene il manufatto
originario da Cremona e non da Crema, purtroppo senza particolari
approfondimenti: “La Lombardia veneta
(Oltremincio) comprese per quasi quattro secoli un terzo circa della
popolazione di tutto lo Stato da Terra ed un tale rapporto si fece ancora
maggiore nel periodo in cui Cremona fu veneziana (1499-1509) essendo allora la
città padana tra le più popolate d’Italia, contando nel 1500 c., secondo le
stime del Beloch, ben 40mila abitanti. È probabile che da Cremona e non da
Crema, come è stato affermato, provenga questa interpretazione tipicamente
lombarda dell’emblema veneto. (...)
l’opera non va confusa con l’esemplare marciano divelto dal Palazzo Pretorio di
Crema e restituito da Asti nel 1558”. Sotto a quel leone, una lapide aggiunta nel
1881 denuncia interventi di restauro a seguito dei danneggiamenti napoleonici, e
Rizzi precisa che sono parti ottocentesche il muso, il libro, le zampe in primo
piano, per cui è improponibile un confronto stilistico tra il leone cremasco e
quello castellazzese.
In merito al leone di Santa Maria aggiunge: “se fosse proveniente da
Crema la scultura sarebbe stata esposta all’esterno per circa sessant’anni, il
che contraddice le notate ottimali condizioni conservative ”.
Dieci o sessanta anni di esposizione agli agenti atmosferici, a cavallo tra
Quattrocento e Cinquecento e quindi senza l’aria inquinata post rivoluzione
industriale, forse non sono una differenza significativa per dedurre il degrado
di una scultura lapidea; in ogni caso, il leone non sarebbe stato divelto dal
Palazzo Pretorio di Crema (cioè la torre Guelfa, luogo in cui ancora oggi si
possono vedere il leone restitutus e
la lapide del 1558), bensì dalla distrutta Porta Ripalta, baluardo meridionale
delle mura cremasche erette tra il 1488 e il 1509: al massimo dieci anni di
pioggia e vento se il leone venisse da Cremona, ventuno anni se venisse da
Crema. L’ipotesi cremasca non sembra granché indebolita e richiede sforzi
maggiori.
I CONTRIBUTI DEL MUSEO CIVICO DI CREMA – Grazie ai motori di
ricerca informatica, in prossimità del convegno storico del 2012 si è riusciti
ad individuare un interessante contributo proveniente direttamente da Crema. Si
tratta del numero dell’anno 2010 della rivista “Insula Fulcheria”, edita
annualmente dal Museo Civico di Crema, dedicato ai rapporti storici tra la
città e Venezia. Nel saggio a firma Giovanni Giora si tratta dei due leoni
marciani che l’esercito francese trafugò come prede di guerra e che furono poi
restituiti a Crema.
Il primo leone è quello murato sulla torre Guelfa, a noi ben
noto: la lapide del 1558 ci dice che è stato portato dai Galli ad Asti e poi restitutus; Giora non menziona l’ipotesi
castellazzese, ma precisa che la scultura rimossa nel 1509 era collocata sulla
porta Ripalta.
Il secondo leone, murato sul Torrazzo, uno scenografico
passaggio ad arco creato nel 1525 insieme al nuovo palazzo comunale, è persino
più interessante. Questo emblema fu trafugato dai Francesi (i cronisti
dell’epoca dicono dalla città di Bergamo, non da Crema) e portato a Milano, per
essere poi consegnato ai cremaschi da Francesco Sforza II nello stesso anno
1525. Se l’emblema sulla torre Guelfa non sembra avere alcuna attinenza
stilistica con il leone castellazzese, e non solo per i restauri ottocenteschi,
la scultura del Torrazzo di Crema apre nuove domande sul nostro manufatto.
Stessa funzione, stessa origine (indubitabilmente lombarda), stessa mano? Crema
è, come Castellazzo, collocazione finale di un leone non originariamente suo?
E’ possibile avere garanzie sulla provenienza originaria dei leoni “restituiti”
o pure i testi storici sono da mettere in discussione?
E’ da queste domande che forse nasce la nuova strada da seguire
per rafforzare o smentire l’ipotesi di Gianluigi Bera che, con la sua
fondamentale intuizione, ci permette di continuare a mantenere alto l’interesse
per il grandioso – citando Alberto Rizzi – leone marciano che da oltre tre
secoli è conservato in Santa Maria della Corte.
(Testo a cura di Cristoforo Moretti)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
§
Lucio Marmanzana – Antichità di Castellazzo: raccolta di
manoscritti dell’ultimo quarto del secolo XVIII conservato nella biblioteca
civica di Alessandria (coll. MS59), con una biografia di metà Ottocento, di
autore ignoto, posta ad inizio raccolta
§
Girolamo Buzzi – Storia di Gamondio antico or Castellazzo, 1863,
libro primo pag.177-179 e libro quarto pag.25
§
Giuseppe Pochettino – Contributo di studio sugli antichi dazi
del Piemonte, in R.S.A.A.AL, 1907, nota a pag.179
§
Francesco Gasparolo – Castellazzo Bormida ai suoi figli caduti
per la grandezza della Patria, 1924, pag. 31
§
Lettera della R. Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna al
parroco di Santa Maria, 16 febbraio 1938 – pubblicata in: Cristoforo Moretti,
Catalogo di edilizia ecclesiastica nel territorio di Castellazzo Bormida, 2001,
pag.63
§
Gianluigi Bera – Asti: edifici e palazzi nel medioevo, 2004,
pag. 876-880
§
Gelsomina Spione – Uno spazio storico, 2007, pag.306 (nota 22)
§
Cristoforo Moretti – L’ipotesi Malabaila-Pellati in
Castellazzonotizie, dicembre 2009, pag.11
§
Giovanni Giora, Insula Fulcheria 2010, vol.A, pag.94-95
§
Alberto Rizzi, I leoni di San Marco vol.III, 2012, pag.37, 41,
134, 135